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lunedì 16 aprile 2012

Baglioni scrive su Facebook 16 aprile 2012

ll cielo si chiude di nuvole.
Un portone di ferro.
E sotto si riga di pioggia.
È incredibile come il teatro del mondo
si faccia nuovo ogni volta.
Cambi di continuo scenario.
E le trame da raccontare.
Domenica scorsa era Pasqua.
Avevo disceso l'Italia fino al punto più basso.
E l'estremo Sud faceva il suo classico assolo.
Un grido prolungato di luce.
E il suono del mare.
Quel mare. Là sotto.
E poi altro mare sulla distesa azzurra, a perdita d'occhio.
Tirato a lucido. Ripulito.
Riverniciato. Spianato.
Idratato dalle rughe dell'inverno.
Forse un po' più basso.
A scoprire gli stinchi degli scogli.
A far respirare le coste deserte.
Il sole era un'impronta carezzevole.
Ti scaldava dolcemente le guance e la fronte.
Un guanto di dorato tepore.
Sembrava quasi avere un gusto, un sapore.
Mais? Noccioline tostate?
Anacardi e un velo di sale?
Così si sarebbe potuto stare una vita
e potendo, anche una vita dopo.
E magari la vita dopo sarà tutta così.
Lampo non c'era.
Andato, forse, a farsi un giretto o un viaggio più lungo.
O a riposarsi le ali sopra un picco lontano.
Mi chiedevo, sorridendo della mia domanda, chissà se anche lui va in villeggiatura o si sente sempre in vacanza?
Un eterno giorno di festa.
Una Pasqua senza fine di pace e di bene.
Auguri dicevamo e scrivevamo tutti.
Pensavo a come sarebbe stato bello
darsi davvero un abbraccio per rigenerarsi.
Spalmarsi di quello splendore di cose modeste.
Nutrirsi di quel semplice poco.
Augurarsi di inaugurare una stagione diversa, un tempo più vero, un'epoca epica.
Oltre la menzogna e la meschinità.
Verso la meraviglia.
La gente sa
che il mago non taglia la donna a metà...
Eppure séguita a stupirsi ogni volta.
Perché ne ha bisogno.
Perché sbalordirsi è come sudare o affogarsi in respiri.
Non puoi vivere senza.

Ho aperto la portafinestra per fiutare l'aria di fuori.
Sotto una coperta di lana grigia
s'infila un alito arricciato di freddo.
Un'altra scena e la mente salta a qualche mese fa.
La neve si era sciolta tutta.
L'ultimo pezzo sull'angolo buio della terrazza se n'era andato il giorno addietro.
Riaffioravano forme e colori del prima.
La neve è una tregua della memoria.
Copre i ricordi per mantenerli vivi.
Alla sua dipartita
tutto torna com'era.
La neve è una verità nascosta.
È un bellissimo inganno. Bianca illusione.
Che, poco dopo, si macchia di sporco,
di sudicio scorrere di esistenze su ruote.
Di fanghiglia del quotidiano.
A volte mi dico che è tutto sbagliato.
Che chi più chi meno
(e la sfortuna vuole che i chi più siano i più e sempre di più) tiriamo a campare una vita ideata progettata disegnata da un pessimo architetto e costruita da un palazzinaro bieco e speculatore.
Che il modello non tiene.
È fallito. È crollato. È uscito fuoristrada.
Ma nessuno ha la voglia o la forza o la determinazione di metterlo fuori produzione o fuori commercio.
La produzione va avanti. E pure il commercio.
E sbarcare il lunario si fa ancora più duro.
Rifletto su quanta buonasorte mi abbia soccorso durante il cammino e nei passaggi più aspri.
Quanta acqua dolce e insperata
m'abbia rinfrescato il viso e la gola.
Due parti di idrogeno e una di ossigeno.
Nient'altro.
Non puoi vivere senza.

Adesso le nubi si sono sgonfiate
e il cielo si stria di chiaro e celeste.
L'unico merito di un cielo rannuvolato
è che al tramonto diventa fantastico.
Una cascata di sospiri aranciati.
Una vendemmia di ruggine e viola.
Un campo sconfinato di frutti di bosco.
Mi viaggia il pensiero nel quadro di un recente tramonto.
Tramonto di tramontana.
Un'aria così chiara e lucente
da sentirsi più netti e innocenti.
Una serata tanto larga
da provare soggezione.
Una nuvola puntinata di uccelli
volava sulle ali avviluppate del vento.
Si allungava, si ricompattava,
mutava forma.
Come i pesci muti sott'acqua.
E nell'apnea dell'universo
si manifestava il prodigio.
Il miracolo del silenzio.
Se solo imparassimo a tacere di più.
A dire soltanto col cuore.
E un'increspatura di labbra.
Con l'onesta emozione
che scende giù dagli occhi.
E invece quante parole. Quanto rumore. Quanto stridore.
Parliamo, sproloquiamo, blateriamo
per riempire il già troppo pieno di tutto di tutti.
Ma il vuoto di dentro, l'unico nostro davvero, rimane com'è.
Il rimbombo del nulla.
Le urla, le chiacchiere non ci rendono meno soli.
Non celano neanche il tormento.
La quiete, la dignità via dal chiasso
è la più cara, fedele compagna.
Non devi starle troppo a lungo alla larga.
Non puoi vivere senza.

La messinscena è al quarto atto.
Il vento è in pausa
come stoppato in un fermoimmagine.
Pochi gli avanzi di nuvole sugli scaffali del cielo.
Le luci attaccano il turno di notte.
Un po' alla volta, si danno al lavoro.
Le sagome chiomate degli alberi
sono ritagliate e incollate sulla linea dell'orizzonte.
L'odore di asciutto riporta a una notte perduta.
Come mille notti perdute
a dare fuoco al tempo
quando non vedevamo l'ora di crescere
e andare via
e ora che siamo cresciuti
ansimiamo a supplicare e maledire il tempo per poter tornare indietro.
Da quel via in cui non siamo mai andati.
Sono tornati anche i gabbiani
con le loro grida bambine.
Sembra che talvolta si alimentino
nei cumuli dei rifiuti di città.
Ma almeno essi dopo sanno alzarsi
e non hanno disimparato a volare.
Prima spesso sognavo di saperlo fare.
Mai altezze vertiginose. Mai salite impossibili.
Un volo da umano. A mezz'aria.
Come se su di me la gravità potesse di meno.
Un avvio verso l'alto. Uno spunto abbozzato di ascesa.
Giravolte leggere. Morbide acrobazie.
Avvitamenti di lato e in avanti.
Un rettifilo insistito a tre metri da terra.
Un arrivo aggraziato.
Un umile inchino.
Di fronte agli sguardi attoniti dei presenti.
Questo in fondo ho cercato di fare in tutta la vita.
Questo è stato il mio mestiere più certo.
Che fossi in grado d'immaginare sogni
per far sognar qualcun altro,
l'ho scoperto con gli altri.
L'ho visto nelle traiettorie degli occhi.
L'ho capito dal giro delle teste.
L'ho sentito dalla sorpresa delle bocche e nella trepidazione dei petti.
L'ho riscosso nel battere delle mani.
Io mi sono compreso così.
Credo che se non esistessero gli altri,
i nostri altri,
chiunque di noi non saprebbe niente di sé.
Sarebbe un perfetto sconosciuto
pure per se stesso.
Mi spiego? Gli altri.
I miei altri. Tu e tu e tu. Voi.
Voi altri. Voi- gli altri.
Non posso vivere senza.

Faccio ancora sogni in cui so volare.
Un volo da uomo. A mezz'aria.
Di fronte allo sguardo di altri
che piano piano riescono a sognare
e, tutt'a un tratto, si ritrovano a volare.
Così, talvolta, mi illudo
e finisco per credermi uno importante,
un mago, un cavaliere, un re.
Ma la più parte della vita si vive da svegli.
E spesso faccio strade in cui non so nemmeno dove andare.
E spesso ho incontrato un altro, un'altra, te.
Grazie.
Tu non hai portato il mio strascico
ma la lanterna davanti a me.

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