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giovedì 26 giugno 2014

CLAUDIO BAGLIONI SCRIVE SU FACEBOOK IL 25 GIUGNO 2014

https://www.facebook.com/claudiobaglioniofficial
Alla fine degli anni '40,
con ancora i segni della guerra alle spalle,
mio padre e mia madre
scesero dalla campagna umbra verso le strade selciate di Roma.
E sulle spalle, da quelle ferite cicatrizzate
ricrescevano piccole ali di speranza.
Non solo viaggiarono alla volta della città
ma le volarono incontro.
Gli occhi pieni di fiducia
e di voglia di fare.
Il riscatto attraverso il sacrificio normale
e l'impegno della ricostruzione.
La tremula luce dell'umiltà e la sorridente follia della passione.
Quella non era soltanto speranza.
Era pure ingenua e tenace certezza.
Verità e coerenza.
Capacità di sogno.
Un meraviglioso sorprendente entusiasmante commovente cammino di realtà.
Qualche giorno fa facevo il percorso al contrario
salendo fino alle calme colline di Assisi.
Avrei dovuto cantare sul Sagrato della Basilica
per la manifestazione annuale
ispirata al santo poverello.
Con il cuore. Nel nome di Francesco.
C'ero già stato alla prima edizione,
dodici anni prima e si teneva all'interno.
La magnificenza del posto.
I mille echi di bellezza e bontà.
Il coro, l'orchestra, il repertorio appropriato.
Le parole intonate a quel tipo di storia.
Le logiche dell'audience tenute lontano
tant'è che si vide in tv in seconda serata inoltrata.
Questo ritorno sarebbe stato invece all'esterno
nella magia suggestiva del grande piazzale.
Se non ché, per una prudenza eccessiva,
nel rischio di un poco di pioggia prevista,
un funzionario ha deciso che ci si spostasse,
ripiegando nello splendido refettorio dei frati
assai poco adatto, però, per riprese ed immagini.
Come spesso succede non è piovuto giù niente.
Sarebbe bastato solamente un po' più di coraggio.
Ma, seppure il programma si fosse fatto
in quello scenario fantastico di sempre,
il contenuto sarebbe stato lo stesso.
Una sequenza di artisti, per lo più cantanti,
che però non cantavano e qualche musicista
che non suonava e faceva malamente finta,
un bel corredo di basi preregistrate
e una serie di canzoni e di temi fuori contesto.
Io mi sono industriato come altre volte
a proporre qualcosa di adatto e a esibirmi dal vivo.
Ma sempre più spesso ti guardano
come uno che comporta problemi e ulteriore lavoro
in queste occasioni che invece si fanno così,
minimo sforzo/massimo utile.
Uno dei tanti eventi pensati con il vago criterio
del tutti insieme appassionatamente
e che di evento hanno solo la definizione.
Questo per quale motivo?
Perché eravamo in prima serata
e si deve contare l'ascolto?
Perché poi c'era la prima partita italiana ai mondiali,
il più importante rito pagano di questo inizio d'estate?
Perché si raccolgono soldi per le nobili missioni dei frati
e allora più gente c'è e più si tira su?
Forse per tutte queste ragioni o forse qualcuna diversa.
Forse perché quasi tutto oramai si organizza
col medesimo metodo.
Una gran macedonia, un unico informe indistinto insieme
che si riproduce in un identico solito modo,
cambiando solamente titolo, luogo, momento, settore.
Forse per un'assenza di scelte e pensieri
quando è più facile mischiare un po' tutto:
generi, stili, missioni, intenzioni,
sacro e profano, alto e basso, trash e raffinato, colto e ignorante,
vero e finto, brutto e bello, buono e cattivo.
Siamo tutti in un medley.
In un playback di vita.
Forse per una mancanza di credo e di coraggio.
Per il bisogno venuto meno del sublime.
Per la paura dell'eccezionale, dello straordinario
che non vogliamo più fare.
Per la banalità debole dell'abbastanza.
Tutti insieme (o per lo più da soli) spassionatamente.
Qualcuno domani ricomincerà a prendere la via
e a scaldarsi, durante il tragitto, con il fuoco di chi è in cerca
e anche a costo di bruciarsi le piccole ali, intanto spuntate,
tenterà qualche piccolo nuovo illuminante volo.
Quando si tornerà a un tempo in cui vivere
non solo per sognare un'altra realtà
ma per fare della realtà un sogno.

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