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PAOLA MASSARI, LE DOLOMITI SUL MARE PERSO.
Paola Massari
è, come una sua foto, il lato oscuro e potente della luna, quello che
meglio cela sorrisi e lacrime. Una ragazza che da sempre risale la
corrente, grata di fatica, solo per salvare attimi di verità, senza
conoscere rese ne’ rimedi. Ha pensieri affilati e sensibili e tanta vita
amata comunque, senza lusso, nella ricerca di senso, o nella
distrazione di un sorriso, fatto più per gli altri che per sé. E dieci
domande per comprendere cosa dovevano essere in un tempo dimenticato, le Dolomiti bagnate dal mare.
Il
libro Per Amore per nostalgia per sempre e una collaborazione nata in
famiglia. Cosa provi ascoltando tuo figlio Giovanni suonare la chitarra?
La
musica è metà del mio linguaggio. Poter comunicare musicalmente è per
me naturale ed essenziale. Giovanni ha ereditato da entrambi i suoi
genitori la musicalità, così anche per lui è, questo, un linguaggio
spontaneo. E necessario. Ascoltarlo mi provoca piacere. Compiacimento.
So quanto la musica sia bagaglio fondamentale per la vita di ognuno.
Poterla suonare, oltre che fruirne, è un valore aggiunto da portarsi
dietro ovunque. Da tirare fuori in qualunque momento. Da condividere. Da
godere. Per questo suggerisco ad ogni genitore di cercare di far
affiorare la musicalità, qualora sia presente, nei bambini, e cercare di
portarli a coltivare questa passione. Questo linguaggio universale ed
infinito.
“L’invenzione del naso e altre storie”. Pàrlamene.
“L’invenzione
del naso”, così come racconto nella prefazione del libro, nasce
fortuitamente, quando per caso vennero alla luce dei vecchi fax, frutto
di uno scambio di corrispondenza fra mio figlio Giovanni e suo padre,
Claudio Baglioni. Giovanni aveva allora undici anni, e il papà era in
ritiro sull’Argentario, a comporre musica. Acquistai un fax perché
potessero comunicare, giacché il telefono, si sa, non favorisce molto
gli scambi, soprattutto fra bambini e genitori. Il fax avrebbe permesso
di prendere ad ognuno i propri tempi e i propri spazi. Di fatto, e per
fato, fu un’intuizione felice, che fruttò gustosissime conversazioni,
che ovviamente ho mantenuto private, ed anche dei racconti deliziosi e
divertenti, che a distanza di tempo, mi sembrò bello poter diffondere e
condividere con tutti. Con lo scopo di fissare nel tempo quei momenti.
Far godere di quelle prodigiose creazioni anche altre persone, adulti e
bambini. Testimoniare della ricchezza di una persona come Claudio, e dei
risvolti ignoti della sua poliedricità. Far affiorare il suo umorismo
delicato e graffiante al tempo stesso. Ed anche per condividere con chi
lo ama aspetti della vita scevri da qualunque forma di voyeurismo, ma
ricchi di valori ignoti e rivelati attraverso un’opera dell’ingegno.
Sono stata e sono estremamente orgogliosa di questa iniziativa. Di fatto
affiancabile di diritto ad ogni altra creazione di un artista forse
neanche tanto conosciuto nell’intera ricchezza delle sue risorse.
“Il
vento Matteo ” e le atmosfere del tuo primo disco, tra la vecchia casa
di Agordo e i libri di Buzzati. Per cosa potresti tornare a cantare?
Il
Vento Matteo è il risultato di tante convergenze. La mia natura
musicale. Il tanto tempo condiviso con un artista. Un grande artista. Il
bisogno, la necessità, non più procrastinabili, di raccontare e fermare
per sempre storie solo mie. Cantate. Cosa potrebbe farmi tornare a
cantare? Ho alcune cose, secondo me anche di qualità, rimaste in
silenzio. A volte si risveglia la voglia. Poi torna a tacere. Il mio
primo lavoro si è scritto da solo. Mi ha cercata e trascinata con lui
senza che potessi a lui oppormi. Ecco. Mi piacerebbe essere nuovamente
catturata da quel vento creativo e incontrastabile. Non sono un’autrice
di professione. E sono poco costante. Penso però che le canzoni che ho
messo da parte, abbiano dignità per essere proposte. Forse ci sono
vicina.
So che sei legata in modo particolare a una tua canzone: Nuvole di trent’anni fa.
“Nuvole
di trent’anni fa” è la sintesi della felicità. Quella pura,
dell’infanzia inconsapevole. La sola felicità possibile. Ognuno la
incarna nei propri luoghi, ricordi, frammenti di fotografie scolpite
nella memoria emotiva. Per me sono state le montagne e il forziere dei
loro tesori. La frescura di un bosco ombroso. La brezza di un tramonto
che scalda le rocce d’arancio e infinito. Il profumo verde di un
pomodoro maturo mangiato come una pesca. Una pannocchia rubata in un
campo biondo. Il brontolio di tuoni rabbiosi, voci di temporali lontani e
salvifici. La rugiada scintillante che inonda i prati freschi del primo
mattino. Alberi da scalare. Vita da mordere. Voci anziane che
insegnavano il mondo. Sogni da cullare sotto cieli bianchi di milioni di
stelle… La mia scintilla vitale è scoccata sotto quel cielo che acceca
d’azzurro. E lì torna a trovare la sua origine e il suo senso.
Conservi le cose perché porta a qualcosa di buono o perché non riesci a buttarle?
Conservo le cose perché sono irragionevolmente malata di nostalgie. Collezionista di tormenti.
Lo sport nella tua vita da atleta e tifosa. Hai una squadra del cuore?
Sono
geneticamente romanista. Può bastare? Atleticamente sorvolerei. Tutto
ciò che assomiglia ad un movimento, lo devo al mio personal trainer: il
mio bassotto.
Hai vissuto in segreto un amore e la sua fine. Un dono, una tortura?
L’amore
è sempre dono. È un sogno mai arreso. Un’ostinata tenera, eroica
battaglia. Il miraggio dell’assoluto. Dell’esclusività. Il privilegio
della fedeltà. Una sciocca sconfitta. Una speranza insopprimibile. Il
mestiere dell’attesa e del cambiamento. Seppure delude, aggiunge
stratificazioni alla propria interiorità. Egoisticamente, nella peggiore
delle ipotesi, è una palestra di arti varie. E di affettività. E poi ci
sono amori che cambiano, ma non finiscono mai.
Hai
detto: ”…io non lo sapevo che il futuro poi si porta tutto via…” E
allora che si fa per vincere il buio degli anni difficili?
“Il
futuro poi si porta tutto via” è un’affermazione prettamente improntata
ad una visione infantile, ingenua, inconsapevole. Quando non si è
capaci di trattenere gli attimi di felicità e spensieratezza, perché si
ha solo il concetto dell’eterno, del “persempre”. Poi si guarda
indietro, con nostalgia, ai tempi di Paperino. Gli anni difficili, i
momenti difficili lo sono più quando li si teme, che quando li si vive.
Essere dentro alle battaglie dà anche una forza inconsapevole per
combatterle. Ma poi ci sono difficoltà e difficoltà. Ci sono realtà
francamente terribili. Sebbene tutto sia soggettivo ed attenga molto
alla sensibilità e le peculiarità di ognuno. La paura della paura è la
condizione più sfavorevole in cui destreggiarsi. Crescere aiuta almeno a
dimensionare tutto. Controversie incluse.
Quando la radio passa una canzone che hai visto nascere in studio o da una pagina di quaderno, l’ascolti o passi oltre?
Mah.
Io sono una persona che non ha fotografie in casa. Le fotografie hanno
il potere di deprimermi mortalmente. Non tanto per il potere evocatore,
che di fatto esercito con la mente, ma per l’immobilità dei personaggi e
del tempo. Che mi atterrisce letteralmente. La musica, ugualmente,
talora, mi intristisce, soprattutto quando ha il potere di riportarmi
indietro, ma senza evocare emozioni propositive. Sono malinconica, ma
detesto crogiolarmi nei ricordi.
Cosa è rimasto di quella studentessa del Bellunese che sedeva su una scalinata dell’Eur a parlare per ore con uno sconosciuto?
La
studentessa è cresciuta molto. Ma nel contempo ha avuto l’opportunità e
la volontà di regredire nell’intento di raggiungere la purezza della
sua essenza. Obiettivo che credo si consegua nell’ultimo istante di
vita. Lo sconosciuto è il padre di un miracolo concepito insieme. E
sempre, e sempre più, sarà dono. Valore. Amore. Per sempre. Perché io
non ho paura di nulla. E non conosco l’omologazione. Specialmente verso
il basso. Verso la dissoluzione che ignora il sacro che ci governa e ci
appartiene. Ho lo sguardo puntato verso il cielo. E il bagaglio
dell’amore universale per il mio unico volo.
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